Thursday, September 14, 2006

FRAMMENTI

Altra che arrendersi a chi è più forte,
A noi non spetta nessun'altra azione,
Ché sopra Roma è il manto della Morte.
(...)
Da qui Attila dettare ordini,
Dalla finestra, e le spalle voltarci,
Senza timor che le braccia od i tendini,
Un vile proiettile gli ferisca
(...)
Non altra scelta abbiamo che inchinarci,
Prima che un'altra strage si patisca.
(...)


GALLA PLACIDIA



Sento avvicinarsi aggraziati passi,
Di quella che con noi del tristo inganno
Ordito fu vittima da Marciano.


BASSO ERCOLANO


Quando i suoi capelli l'aria spettina,
Al suo passaggio lei fa vivi i sassi,
E ciò che la circonda riempie affanno.


[ Entra Onoria ]


FLAVIO COSTANZO


Dimmi se giungi a darci una risposta
Alla domanda che ti rivolgemmo,
In te la speranza tutta è riposta,
Apporti un grave carico dovemmo.


ONORIA


Da poco abbiam saputo dell'inganno
Ordito da Marciano a nostro danno;
Quando vivevo nella reggia a Oriente,
E quegli era ancora generale,
Mentre stavo nel dolce sonno assente,
Mi fu sottratto l'anello imperiale;
Ben presto seppi che mi volevate,
Un lesto carro mi venne allestito,
ma un altro mezzo era già partito,
Con il mio anello ed un ricco tesoro,
Ma voi, genitori miei, che mi amate,
Del vostro affetto grande ed infinito


(...)


Ti senti spinger da oscuro fervore.


CORO


Ma le milizie tue non sono invitte,
Ricorda quando d'Aseno alle porte
Comparvero improvvise schiere fitte,
Che contro noi tremende erano insorte
Travolti fummo allora in gran macello,
Quel luogo fu imprendibile castello.


Poi quando ad Orlèans volemmo entrare,
Agguati ad ogni angolo di strada,
A noi costrinsero ad abbandonare
L'imoresa, stretti da fiera masnada.
Travolti fummo ancora in gran macello,
Quel luogo fu imprendibile castello.


Rammenta infine ai Catalauni Campi,
La schiera di Romani e Visigoti,
Quando tra delle armi i sacri avvampi,
Di lampi e di scintille i ferrei moti,
Ancora continuarono le Ombre
A combattere ormai di vita sgombre.


ATTILA


Ma anche Aquileia abbiamo conquistato,
Un volo di cicogne fu premessa
dettata da un favorevole Fato,
La roccaforte a noi venne concessa.
Padova e Brescia abbiamo rase al suolo,
Pavia e Milano rese nostre schiave,
Abbiamo sparso nell'Italia duolo,
Timore grande e sofferenza grave.
Dicono questa Roma forte un tempo,
Ma io non vedo che mura crollate,
Nessuna battaglia, alcun contrattempo,
Ci verrà da dimore diroccate.
Si aggirano prede tra queste rovine,
Che vedono in noi voraci faine.

GLI INTERLUDI

Sipario chiuso, entra Onoria, parla dal palco, rivolta al pubblico

INTERLUDIO I


ONORIA


Chi siete voi, schiere unne ?
Da quale luogo
Mai provenite ?
Dagli oscuri abissi
Lambiti
Dai fuochi dell'Inferno,
O da qualche regione
Estesa
Ai confini del mondo ?
Per quale motivo
Dovetti essere giocata
Come posta
In questo ricatto ?
Ah, Teodosio Imperatore
La tua morte certo
E' valsa la tua vita,
Tu che non sapesti fermare
Quest'orda di diavoli,
Ma ti piegasti al vil ricatto
Dell'oro tintinnante,
E non ti preoccupasti
Quando l'anello mio venne sottratto,
Di sapere cosa
Ne era stato fatto,
O forse sapesti,
Con tacito assenso,
Perché giungendo
A capo del tuo Impero,
Marciano potesse
Avere il tempo
Di organizzare le milizie.

Conoscendo Attila,
Spingendone qui le armate,
Usandomi come strumento,
Usando come strumento
Un'anima umana.
Ma ora che tutti
Presso la fausta
Corte Imperiale,
Mi hanno voltato
Le spalle,
Qual altra scelta
Potrò mai avere
Se non di cedere
Alle volontà
Del Fato ?
Le porte del Palazzo
Per me sono ormai chiuse,
Addio, grandi imperi.


[ esce ]


INTERLUDIO II

(...)
Già da tempo ha sciolto
Il cuore del sovrano,
E da quando al suo cospetto
Ne giunse l'anello,
Suonarono gravi
I clamori di guerra.


CORO I


Così, popolo di Roma,
Questo mi manda a dire
Il nostro re,
Entro il tramonto
Consegnate Onoria,
Affinché giustizia
Sia ristabilita.
Altrimenti
Questa vostra città
Raderò al suolo,
Pietra dopo pietra.


[ Indicano il pubblico ]


Voi, Romani assediati,
Inermi di fronte
Alla nostra potenza,
Voi che distruggeste,
A quanto sapemmo,
Tutto quanto avevate conquistato.
Dov'è l'alloro, o Roma ?
Dove il carro trionfante ?
Io altro non vedo
Che una folla disperata e urlante.


CORO II


Nessun rispetto
Avrà di te, Roma,
Il nostro popolo,
Se gli capitasse
Di metterti addosso
Le mani di sangue pregne,
Non resterà gemma o castello,
Non resterà muro o gioiello,
Tutto asciugherà la pioggia.
Eppure se tu sapessi
Quanto si va agitando,
Scopriresti quanto, a volte,
Scuotono il mondo,
I sentimenti d'un uomo solo.


CORO I


Il tuo dire ora m'è oscuro,
Nulla ci spinse
presso questo popolo
Che trema osservandoci
Dai suoi scranni,
Se non brama di guerra,
E gioia di rapina.


CORO II


Dunque non sai
Che atroce torto venne fatto
Alla principessa Onoria ?
Non credi
Che si marciò
Per tanti luoghi
Per riscattarla ?
Ebbene io credo
Che molto più del desiderio
Del trono,
Si sia impossessato
Del nostro sovrano


CORO I


Ma egli ha numerose concubine,
E molte di più ne avrà
Dalle donne di queste genti,
Può forse una donna
Raggiungere la lucentezza
Della Luna ?
O illuminare nella notte
Come un fuoco,
Che acceso nell'oscurità
Illumini il cammino
Del viandante solitario ?
Io credo che solo una donna
Tale, potrebbe sciogliere
Il cuore di Attila.


CORO II


Pare che la sua bellezza
Sia di gran lunga
Più nobile
Di qualunque astro.
E dicono che i suoi occhi
Sian come un pozzo,
Ove si specchia il cielo,
Dolce ristoro alla sete d'Amore.


[ Escono ]

ATTO I SCENA II

In una sala dalle pareti dipinte, siedono attorno a una tavola rotonda Flavio Costanzio Imperatore, Onoria, Flavio Basso Ercolano; da una finestra si vede Attila oltre le mura discutere con i suoi maggiorenti.


FLAVIO COSTANZO


Quale potere oramai rappresento ?
Quale volontà, o popolo, incarno ?
Clamor di spade romane non sento,
In Gallia infine combattemmo indarno.
La turba oltre le mura assedia e preme,
Di brama di ricchezza e d'oro freme,
Cos'hai Roma da dare oltre che il sangue ?
Dopo il saccheggio il tuo scrigno langue.
Galla Placidia
Di quanti affanni e lotte di potere
Siamo già stati attori e testimoni,
Per veder poi la nostra città cadere,
Abbiamo fatto stragi e matrimoni,
Per mantener lo scettro del comando,
Raccogliendo rapina di rimando,
La tua unione dev'essere spezzata,
Ercolano Basso, con Giusta Onoria,
Così soltanto sarà l'unna ira placata,
Questa soltanto or è la nostra gloria.
Progetto d'Attila è salire al trono,
Con di mia figlia in pugno la mano,
Crede potrebbe diventar sovrano;
Di questo aspetto i suoi voleri sono.
Non guarda alle leggi di discendenza,
E cerca un mezzo alla sua prepotenza.

Figlia, tu non sai quanto questa scelta
Possa aver la mia anima divelta,
Tu che rilucer facesti i miei occhi,
Che nel vederti lucean come specchi,
L'animo strugge la mia decisione,
Il cuore spezza l'atroce questione,
Ma lame brillano oltre le mura,
Sebben mai ci fu scelta più dura,
Ché aspra cosa è sceglier fra una vita
O che per molte altre sia finita;
La prima da condurre nel dolore
O le restanti muoian nel terrore,
L'una ben lontana dal proprio tetto
Di morte l'altre al padre il grave aspetto,
Le tue catene Roma salveranno,
I Romani nuovo respiro avranno.


ONORIA


Fate ch'io rimanga nella mia casa,
Non voglio ad un barbaro andare in sposa.


FLAVIO COSTANZO


Comprendo tutto il tuo risentimento,
Ma se non cederemo ai suoi voleri,
Della città non resterà che il vento,
Soffiando lamenti miseri e neri,
Tra fuochi e fiamme che si spegneranno,
Tra rovine che non risorgeranno,
Esso porterà via il nostro ricordo.


ONORIA


Qual è questo miserabile accordo,
Come Lucrezia costretta ad amore
La Città riscattò dalla superbia,
Mostrando ai suoi la volontà caparbia,
Con il pugnale spinto sino al cuore,
Così Io salverò Roma dalla guerra
Spargendo il nostro orgoglio sulla terra.
Ercolano, d'amor quali profferte
Per lungo tempo e andare tu mi offristi,
Adesso invece alle ferite inferte
Parola alcuna offri ? No, desisti,
Anche soltanto dal guardarmi in volto,
Dov'è quell'amico 'sì nobile e colto
Ch'avevo conosciuto in altro tempo ?
Oh ! Quale angoscia, quale contrattempo
Adesso t'impedisce di parlare ?
Che motti hai sentito pronunciare
Dalle bocche di chi mi ha generato
Che suoni ha dato espresso il loro fiato ?
Qual altre mi dirai ora parole
Per la Città oppur per me d'amore ?


ERCOLANO BASSO


Spezzare codesto nostro legame
E' qualcosa che m'angoscia ed opprime,
Ma pensa a quel ch'era il nostro reame,
Pensa a cosa siamo diventati infine,
Roma è morta ed è caduto Impero,
Soltanto un atto di clemenza invero
Ti vien richiesto in questa triste forma,
Ché la nuova Aquila imperiale dorma.
Tu potrai fare col tuo sacrificio,
A te soltanto è il doloroso ufficio.


ONORIA


Capisco, quegli sguardi un tempo accesi
D'affetto e amore credevo sinceri,
Oh ! Quanto li credevo onesti e veri,
In quali inganni la gioventù spesi.
Falso era tra voi qualunque argomento
Falso il pensiero, falso il sentimento,
Gli sguardi ch'ora vedo cupi e gravi,
Un tempo erano sereni e lievi.

Bene ! Sarà quel che m'avete chiesto,
E non per pietà delle vostre vite,
Ma per vergogna della vostra corte,
Io me ne vado più a lungo non resto,
Migliore di voi sarebbe la morte
Venuta per le profonde ferite
Che la lama delle vostre parole
Ha saputo infliggere al mio cuore.


[ esce Onoria ]


FLAVIO COSTANZO, ERCOLANO BASSO


Certo tu non saprai quale tristezza,
Mi appesantisce qui su questa sedia,
Quale dolore il mio animo spezza
E come un buco scava e si insedia
Dentro di me, presenza sconfortante,
E lascia dietro un segno dolorante,
Onoria, mentre imploro il tuo perdono,
Vai, e non più persona, or rècati in dono.

ATTO I SCENA I

Premessa dell'autore:


Questa tragedia è rimasta incompiuta, non certo per morte dell'autore ( sono ancora qui, tié ), ma perché mica mi pagano per scrivere, e quindi chi me lo fa fare di continuare, se non mi va più ?


ATTO I SCENA I

Le mura diroccate di Roma, davanti alle porte della città, si trova il coro dei maggiorenti di Attila.


CORO


Grida la sorte alle porte di Roma,
Respira la morte di peste e di strage,
Richiamo di guerra da tempo non tace.
Come i serpenti dal fuoco atterriti
Riparo ricercano sotto le pietre,
Così proprio quelli che spazi infiniti
Con stabile polso stringevano in pugno,
Al sordo rimbalzo di grigie faretre,
Pallidi fuggono terrorizzati
Verso le misere soglie di casa.


Il forte re degli Unni ha giurato
Di smantellare le imponenti mura,
Se vano vedesse sprecato il suo fiato;
Quanto la sua giustizia è salda e dura,
Tanto egli è di volontà tenace,
Così sospinto da brama pugnace,
Ti vuole a fuoco e fiamme Città Eterna,
Ché nel tuo orgoglio ormai non sei più ferma,
Di te non resteran ceneri spente.


Il volto d'Onoria
Gli assedia la mente,
L'onore e la gloria
Richiere trionfante.
Chi mai piò respingere
I mostri invasori ?
Roma non perdere
Quel che ti resta,
Ma dona tesori
E china la testa.


Ma ecco, il re giunge,
Rendiamogli dovuto omaggio,
S'inchini il nostro coraggio,
Così la stirpe dell'Aquila ingiunge.


ATTILA


No, non venni qui per l'oro e l'argento,
Né venni a riscuoter riscatti,
Ma questa soltanto è la brama che sento:
Pòr voglio fine a raggiri e ricatti;
Concessa venne ad infausto marito
Colei che al mio fianco ora voglio,
Di lei il cuor consolerò ferito,
Di storia scriveranno un nuovo foglio,
L'avrò regina e sarò imperatore,
O di sangue verran minuti ed ore.


Mentre sollevo al Sole questa spada,
Il segno del Dio della guerra
Trovato in remota contrada,
Prometto che si aprirà la terra
Pronta ad inghiottir polmoni e teste,
Se nessuno ascolterà le mie richieste.


CORO


Questa città distrutta e saccheggiata
Ad Alarico portò già grande sventura,
Quando la tua gente sarà entrata,
Di stessa sorte tu non hai paura ?
Egli morì dopo esserne uscito,
Nascosta ne sarà la sepoltura,
Fin quando il mondo non sarà finito,
Nel letto del Busento egli riposa,
Con il cavallo e l'arma come sposa.


ATTILA


Forza d'Amore puù d'ogni altra vale,
S'arrende a quella qualunque timore,
Come un esercito essa t'assale,
Recatevi ora alle soglie sacre,
Non è tempo di vane discussioni,
Questa sera ci sarà pugna acre.
[ I maggiorenti escono ]


ATTILA ( Rivolto al pubblico )


Gente rozza e votata a depredare,
Soltanto di guerra essi sanno parlare,
Le vicende di re e condottieri
Vanno citando e nominano fieri,
Anch'io fui come loro fino a quando
Non capii che davvero stavo amando,
Quel fuoco forte che mi arde in cuore,
Causa di tanto spasimo e bruciore,
Capite voi del pubblico presente
Che mai cotali fiamme saran spente ?
I suoi bei capelli, neri e fluenti,
I suoi occhi marroni e così ardenti,
Ha nome Onoria il mio più grande amore,
Ha nome Onoria il mio eroico furore,
Io non la vidi mai, mi fu descritta
Dal legato che mi portò il suo anello,
Quand'ero ancor nella boscaglia fitta
Teodosio a rapinar del suo mantello,
Quel manto che ora sulle spalle porto,
Di mio potere simbolo e conforto.


Venne Marciano all'orientale trono,
Che tra i clamor di Marte e d'armi il suono,
Trascorsa aveva la sua giovinezza,
Pascendo un animo che non si spezza,
Non per timore venni in Occidente,
Ma per il suo richiamo disperato,
Giacché i civili dall'aguzzo dente,
Anima e carne le hanno imprigionato.


FINE ATTO I SCENA I